
In un mondo ormai dominato sempre piu’ dall’uomo, la conservazione dei grandi carnivori come il ghepardo è resa difficile a causa della minaccia reale, o percepita come tale, dagli abitanti locali, per lo piu’ allevatori o agricoltori , e che causa spesso conflitti, se non la sua eliminazione. Negli ultimi 100 anni, da circa 100.000 capi si è drasticamente ridotto il numero di ghepardi in natura, fino a scendere a circa 7.000 esemplari.
Fin dal 1974, la dr. Laurie Marker, americana di nascita, si è recata in Namibia con un ghepardo femmina, Kaya, per verificare in situ la possibilità che un ghepardo nato in cattività potesse sopravvivere in natura. Ascoltando gli allevatori, parlando con loro, la dr. Marker si è resa conto ben presto che spesso i ghepardi, visti aggirarsi accanto al bestiame, venivano percepiti come una minaccia , cosicchè venivano intrappolati, feriti o uccisi, precipitando la specie verso l’estinzione. Esaminando le cause e le potenziali soluzioni a tale conflitto, Laurie Marker decise di trasferirsi in Namibia per cercare di fermare la deriva in atto tramite interviste, ricerche e censimenti dei ghepardi ancora in vita in natura. Nel 1990, il Cheetah Conservation Fund fu istituito con il patrocinio del Presidente della Namibia del tempo, dando il semaforo verde alle attività di ricerca, educazione ed educazione del ghepardo.

LAURIE MARKER
Lo studio della biologia ed ecologia del ghepardo, effettuato tramite esame fisico, analisi di laboratorio, radio-collarizzazione e rilevazioni umane effettuate tramite tecnologie per indagini in un ambiente ormai ampiamente dominato dall’uomo, hanno evidenziato che era possibile portare a termine con successo la conservazione di carnivori di grandi dimensioni come il ghepardo. Nel 2020, il CCF ha festeggiato, seppure virtualmente a causa del Covid-19, i 30 anni di attività.
Il Centro si compone di un Laboratorio di genetica, di una banca genetica, di un Centro di Educazione per studenti e bambini, di una fattoria modello con pecore, capre e mucche, cosi come di un caseificio dove si producono prodotti freschi che vengono offerti anche nella caffetteria del Centro. Non manca un orto, dove crescono moltissime piante, e un vigneto, curato personalmente dalla Dr. Marker, che produce un ottimo vino. Per i turisti esiste anche la possibilità di acquistare prodotti made in Namibia nel negozio, il Cheetah Shop. Tutto cio’ che si acquista è prodotto in Namibia, per aiutare comunità locali ad emanciparsi (specialmente le donne).
Come è nato il CCF Italia?
Il Cheetah Conservation Fund Italia è stato registrato nel dicembre 2015 come associazione sul suolo italiano, dopo 7 anni di collaborazione da parte della Presidente Betty von Hoenning con la dr. Marker in Italia ed in Europa.
Il CCF Italia è in diretto contatto con il CCF, e ne persegue gli scopi e le finalità cosi’ come i valori, ma funge da coordinatore per quanto riguarda le collaborazioni con l’Italia, le università e tutti gli enti scientifici che collaborano alla tutela della fauna e della flora selvatica cosi’ come l’ambiente. Il CCF Italia indirizza gli studenti magistrali, i tirocinanti e i professionisti di ogni settore scientifico che desiderano trascorrere un periodo di tempo nel Centro in Namibia per conoscere da vicino il progetto della dr. Marker. Il CCF Italia organizza le manifestazioni soprattutto adattandole al pubblico italiano, ma non percepisce alcun compenso seguendo i criteri del CCF, che è una Fondazione senza scopo di lucro. Tuttavia, il CCF Italia non è collegato fiscalmente con il Cheetah Conservation Fund, né percepisce alcun compenso dalla sede americana, né da quella del Quartier Generale in Namibia, organizzando il proprio lavoro su base volontaristica e facendo appello a donazioni e contributi. Associandosi al CCF Italia, si interviene direttamente sulle attività di sensibilizzazione e informazione sul suolo italiano, e sulle donazioni che vengono inviate due volte l’anno direttamente in Namibia.
Non solo donazioni
Il CCF Italia ha la funzione di intermediario per gli italiani che desiderano recarsi in Namibia per vedere il Centro, per lavorare come volontari o nel caso di studenti universitari, di effettuare una tesi di laurea, un Master, un tirocinio. Anche molti professionisti del settore possono trascorrere un periodo di tempo presso il CCF, se sono veterinari, biologi, zoologi o medici. Parteciperanno a tutte le attività del Centro, lavorando con altri volontari e affiancati dal personale. Rientrando a casa, avranno acquisito una piena conoscenza di tutte le attività del Centro, dal mungere le capre a pulire le recinzioni e sfamare i ghepardi. La comunità del CCF è come una grande famiglia, che lavora ogni giorni in campi diversi, e che riposa solo la domenica. Di solito ci si reca nel Parco di Etosha in gita, per conoscere la flora e la fauna della Namibia.
Il Cheetah Conservation Fund non è un Centro turistico, anche se giornalmente accoglie i turisti di passaggio e offre visite guidate e game drive nel suo territorio, dove si vive l’esperienza di un vero e proprio safari, in quanto si è immersi nella savana. Attualmente il CCF ospita una quarantina di ghepardi orfani che provengono dalle più’ svariate situazioni, di solito una madre uccisa, animali feriti nelle trappole, o cuccioli trovati senza madre. Il CCF non ambisce a trattenere i suoi orfani nel Centro, e laddove possibile, e quando l’animale dimostra una spiccata attitudine alla caccia, procede alla liberazione in riserve private con cui collabora. Ma nel caso dei ghepardi residenti, si ha la possibilità di conoscerne le caratteristiche con la possibilità di partecipare alle varie attività “normali” come i controlli annuali o quelle impreviste come un ghepardo intrappolato dagli allevatori ( i ghepardi sono animali schivi, che difficilmente si possono osservare in natura), dove il CCF interviene tempestivamente, e se non ci sono altre opzioni, si fa carico dell’animale ….e dei costi relativi! Tuttavia, anche per i profani, senza alcuna preparazione di tipo scientifico, l’esperienza al CCF offre la possibilità di conoscere la realtà di un centro di eccellenza che prepara studenti, fa ricerca genetica, determina le strategie, si occupa delle popolazioni locali, insomma, ha un approccio olistico e cerca di alleviare il conflitto predatori/umani con l’aiuto dei suoi cani pastori e con tante strategie formative e censimenti di vario genere. Per inviare o richiedere la domanda di partecipazione al volontariato, potete scrivere a ccfinfo@iway.na (Heike è la responsabile dei volontari) ed inviare dal sito ufficiale il questionario (application form) singolarmente per ogni persona. Essendo i mesi estivi i più’ gettonati, è difficile trovare posto tra luglio e agosto, e solitamente i tempi di attesa si aggirano sui 30 giorni. Invece, in altri periodi si può’ facilmente trovare disponibilità. Quindi vale comunque la pena inviare la richiesta, non è assolutamente impegnativa, ma può’ inserirvi in una sorta di lista di attesa. Per maggiori infrmazioni, navigarte sul nostro sito italiano che raccoglie tutti gli undici anni di attività da parte nostra, e che vi darà un’idea di ciò’ che si fa al Centro. www.ccf-italia.org Per il resto, potete richiedere informazioni di qualsiasi tipo in qualsiasi momento.
Cheetah Conservation Fund Italia
via Roma 145
I – 13812 CAMPIGLIA CERVO (BI)
Tel.: +39 609 7770
cell.: +39 339 3534001
ccfitaly@cheetah.org
La mia esperienza come volontaria del CCF in Namibia di Betty von Hoenning
La mia esperienza come volontaria presso il CCF in marzo, mi ha fatto conoscere la dr. Laurie Marker, fondatrice e direttrice del Centro. Per diciassette giorni ho vissuto un’esperienza magnifica, lavorando a stretto contatto con il personale fisso, circa 15 persone, e altri volontari che vengono da tutte le parti del mondo…Australia, Sudafrica, Stati Uniti, Europa, Iran, ed io, da sola, dall’Italia.Avevo qualche dubbio quando mi sono avventurata da sola in Namibia, senza essere mai stata in Africa prima. Ho letto molto, studiato molto, e non mi spaventava l’idea di trovarmi in un altro continente….faccio l’interprete dal 1973, e me la so cavare bene da sola, ma mi chiedevo, a volte, se non sarei stata delusa dal Centro, se cio’ che la carta mi diceva corrispondeva veramente nei fatti.
La realtà è stata una rivelazione: dal primo giorno, dai primi minuti, sono stata accolta come un’amica, come una del gruppo, e tutti si sono presentati con tanta gentilezza e tranquillità. Il lavoro è organizzato direttamente dalla dr. Marker, Laurie, che dal primo all’ultimo giorno è stata con noi, mattina, mezzogiorno e sera.
Ogni sera ci viene comunicato il programma del giorno dopo: a piccoli gruppi, sempre con la supervisione di un membro del personale, veniamo informati del nostro compito: censimento degli animali della riserva, inserimento dei dati sul computer, alimentazione dei ghepardi della riserva (che avventura!), accoglienza dei turisti presso il Centro, assistenza alla Clinica durante le operazioni di campionatura dei ghepardi addormentati (che verranno rilasciati di lì a poco), addestramento dei pastori dell’Anatolia, insegnamento delle tracce degli animali, accompagnamento dei cani addestrati a raccogliere campioni di feci, assistenza durante le corse dei ghepardi in presenza dei funzionari del governo o degli allevatori….ogni giorno, in assoluta tranquillità, impariamo a riconoscere, valutare, comprendere le realtà dell’attività del Cheetah Conservation Fund.
Alla sera, dopo un’oretta di cena in relax, si ritorna in Aula: i volontari, studenti e altri ospiti, ci presentano i risultati delle loro ricerche: abbiamo assistito alla presentazione dei funzionari iraniani sulla situazione del ghepardo asiatico in Iran (pochi ghepardi in difficoltà, di qui la decisione del governo iraniano di collaborare con il CCF per sapere quali interventi attuare per salvare i pochi esemplari in vita), abbiamo ascoltato gli studenti dell’Università della Florida che hanno effettuato studi sulle popolazioni namibiane, sui roditori, su alcune specie dell’ecosistema; abbiamo ascoltato la relazione dell’addestratrice di cani addestrati a trovare le feci dei ghepardi con il solo ausilio dell’olfatto; queste e tante altri azioni caratterizzano il programma del CCF, che coinvolge al 100% i suoi volontari, che non solo vivono un’esperienza totalmente integrati nel gruppo, siano essi biologi, genetisti o veterinari; oltre a imparare sul campo, i volontari si sentono parte attiva del gruppo, e utili come tali al progetto del CCF.
La missione del Cheetah Conservation Fund
Il progetto della dr. Laurie Marker si propone fini molteplici: in primo luogo, la tutela del ghepardo, e il suo reinserimento pieno dell’ecosistema della Namibia e di tutti quei territori che gli sono congeniali (in Kenya. Marocco, Algeria, Iran ecc.); oltre a cio’ pero’, il CCF desidera restituire al territorio la sua funzione primaria che è quella di un ecosistema in cui prede e predatori, uomini e animali, animali e vegetali si integrano armoniosamente, ricreando il loro equilibrio nell’assoluto rispetto della natura e dell’habitat: a tal fine, gli allevatori di capre e pecore, che per molti anni hanno ucciso i ghepardi per paura che assalissero i loro greggi, e che nei loro allevamenti vedono la loro sussistenza primaria, vengono sensibilizzati al problema con un sistema semplice e geniale al tempo stesso: l’introduzione dei Pastori dell’Anatolia, una razza originaria di cane pastore della Turchia, che fatto crescere a stretto contatto con il gregge, sviluppa un attaccamento profondo a quest’ultimo, e date le sue dimensioni, protegge il gregge con ferocia, scacciando tutti gli eventuali predatori. In tal modo, il ghepardo si trova nell’impossibilità di aggredire il gregge e rinuncia agli attacchi. I cani vengono allevati presso il Centro e affidati agli allevatori, seguiti da vicino nel primo anno di vita, vaccinando i cuccioli e amministrando consigli e consulenza con visite regolari fino al completo sviluppo del cane pastore.
Altro problema: i rovi nfestanti. Il sovrasfruttamento della savana oggi causa lo sviluppo di piante infestanti che invadono il territorio, creando cosi’ un circolo vizioso: pochi animali non sono in grado di impedire l’invasione, e l’invasione impedisce a sua volta agli animali di penetrare in tutto il territorio della riserva per l’invadenza dei rovi, che proliferano a dismisura. La risposta geniale della dr. Marker è stata il Bushblok. una struttura semplicissima, i rovi vengono tagliati e ridotti in tronchetti ad alto valore calorico, che vengono venduti nel Paese ed all’estero come legna da ardere e per grill. In questo modo, la popolazione indigena ha un lavoro stabile, e il ricavato della vendita dei tronchettti serve a finanziare la ricerca del Centro.
Il turismo: il turismo eco-sostenibile nel rispetto della natura è un altro elemento di grande importanza. Qui al Centro si fa ricerca genetica, si fa scienza, e non turismo. Ma i turisti servono, eccome! Quindi recentemente sono stati costruiti nuovi alloggi, la Cheetah Ecoview Lodge, proprio nel Centro, di fronte ad una pozza di acqua. I turisti consaevoli e sensibilizzati possono dare un contributo validissimo, e possono contribuire a far si’ che il paese, la regione, e l’Africa nel suo insieme riesca a ritornare ad essere quel Paese meraviglioso che tanto ha attratto ricercatori e scienziati nel passato.
Sono andata in Namibia con qualche timore e tanta curiosità. E sono tornata con la certezza che è necessario fare il lavoro di tutela, in tutti i modi, con passione, serietà, competenza. Tutti possono dare il proprio contributo, e i risultati si vedono…Shanti e Tisha, le due “girls” selvagge e tremende, danno del filo da torcere a James Logan, che a soli 24 anni è nella Riserva del Namib Rand a curare e seguire il loro acclimatamento in natura…è dura, dice James, ma che soddisfazioni!
Continuiamo a sentirci tutti. Su mail, Skype, Facebook, le notizie volano e si diffondono, ma tutti, tutti indiscriminatamente,….vogliamo tornare al CCF. Tutti abbiamo ormai il mal d’Africa per i ghepardi…..
Betty, maggio 2009
…l’ultima parola spetta alla nostra Musa Ispiratrice….
Il programma dei cani da guardia di bestiame è solo uno degli aspetti dell’approccio multidisciplinare del CCF atto a salvare il ghepardo selvaggio. Noi tuteliamo e ripristiniamo l’habitat, formiamo i conservazionisti che lavorano nei territori del ghepardo, istruiamo gli allevatori sulle modalità migliori, poco dispendiose, ma efficaci, di coabitazione con i predatori (come i cani pastori degli allevamenti), e introduciamo i ghepardi nei territori originari a loro congeniali, nello sforzo del CCF di ricongiungere le popolazioni isolate.
Entrando dunque nel prossimo ventennio, ci attendiamo ulteriori importanti successi. Continueremo a formare i biologi conservazionisti, i manager della fauna selvatica e i consulenti rurali (extension agents) provenienti da tutti i paesi che ospitano il ghepardo, su metodologie di conservazione accertate, e mi sto consultando con svariati paesi sul reinserimento dei ghepardi nei territori e areali originariamente autoctoni del ghepardo. Continueremo a lavorare anche nei paesi in cui in passato ci era stato vietato l’accesso , a causa di guerre o instabilità , per determinare il numero di ghepardi esistenti, collaborando allo sviluppo ed all’ attuazione di programmi che mirano a salvaguardare questo splendido felino.
La lotta per il ripristino e la conservazione dell’habitat del ghepardo e delle sue prede continuerà. E naturalmente noi continueremo ad accogliere presso il Centro gli orfani di ghepardo. Avevamo appena pregustato il successo del nostro inserimento in natura di quattro felini, che già ci arrivavano altri cuccioli… Se solo quell’allevatore avesse posseduto un cane pastore addestrato….!
Cuore e resilienza sono le due caratteristiche che abbiamo scoperto nei nostri cani pastori, nei ghepardi e nel personale del CCF. Salvare una specie come il ghepardo è un impresa di lungo respiro, ma fattibile. Finora, i donatori fedeli come voi ci hanno aiutati a superare l’attuale crisi finanziaria , e noi speriamo che quando pianificherete le vostre donazioni di fine anno, ancora una volta ci aiuterete a raccogliere la nostra sfida con una donazione piu’ che generosa. Ogni anno, ad agosto e dicembre, grazie a numerosi e generosi donatori, gli importi raccolti vengono raddoppiati.
Nessun animale ha lottato piu’ del ghepardo per mantenere il suo posto nel pianeta. Aiutateci a farlo sopravvivere.